Lo sguardo come parola nella comunicazione uomo-gatto

Nel Novembre di quest’anno, sulla rivista scientifica Animal Cognition, è stato pubblicato uno studio sull’uso dello sguardo nelle interazioni con l’essere umano da parte del cane domestico.

Le conclusioni dello studio hanno messo in evidenza quanto popolazioni differenti di cani domestici, ovvero cani randagi indiani e cani di canile e di famiglia statunitensi, rispondessero in maniera differente allo sguardo (o alla sua assenza) dell’interlocutore umano. In generale, i cani randagi, ovvero coloro che, vivendo allo stato libero, hanno un vissuto e probabilmente una storia genetica di maggiore emancipazione rispetto all’uomo, tendono a rispondere di meno per interagire, interessarsi, interloquire con l’essere umano rispetto ai cani di canile e di proprietà.
In altre parole, lo stile e le esperienze di vita e, probabilmente, la genetica stessa, determinano il modo in cui i cani integrano questo strumento comunicativo nell’interazione con l’uomo.

Rispetto ai gatti, sono stati condotti alcuni studi per stabilire l’esistenza di una referenza sociale (definita come l’uso di informazioni emotive per la regolazione del comportamento davanti a stimoli sconosciuti) ma questo studio sui cani, più esteso e trasversale, mi ha portato ad interrogarmi sulla natura e sull’evoluzione della risposta allo sguardo umano dei nostri gatti di famiglia, tenendo ben presente le differenze tra cani e gatti che escludono azzardati parallelismi e considerando quanto, invece, nella formazione del gatto siano importanti le esperienze precoci.

La prima riflessione che mi viene da fare riguarda la specificità del processo evolutivo di un gatto. Affinché un gatto possa integrare questa parola nel linguaggio ibrido con l’essere umano, è fondamentale che possa averne fatto esperienza nel periodo sensibile della socializzazione, ovvero entro le 7-8 settimane di vita. E’ in questa fase, infatti, che il gattino può imparare che lo sguardo diretto non corrisponde necessariamente ad una minaccia. Ma non credo sia sufficiente che il micetto sia stato esposto a delle interazioni con l’uomo. Affinché lo sguardo esprima interesse su un piano sociale, il micetto deve aver fatto provato curiosità per l’uomo e non solo aver superato la sua istintiva diffidenza. Quindi, nel modo in cui un gatto adulto risponde allo sguardo umano diventa importante come si è svolto il processo di socializzazione e come è stato poi consolidato (o depotenziato!) dalle esperienze successive.
Di conseguenza, anche a parità di familiarità genetica, è probabile che nel gatto di famiglia possano essere rilevate differenze significative nella risposta allo sguardo umano a seconda del processo di socializzazione maturato. Se poi prendessimo in considerazione popolazioni eterogenee come è stato fatto nello studio sui cani, è verosimile che il quadro si arricchirebbe ulteriormente.

Inoltre, la risposta allo sguardo umano da parte del gatto non ha le basi collaborative che possono esserci nel cane e, di conseguenza, anche le funzioni dello sguardo sono probabilmente differenti tra le due specie. Riscontrare che un gatto ricambi uno sguardo umano non è sufficiente a decretarne il suo interesse sul piano relazionale. Ci sono gatti che hanno un bisogno maggiore di altri di controllare le condizioni ambientali di cui ci considerano parte, di muoversi in autonomia o, semplicemente, di potersi gestire in sicurezza e guardarci serve per anticiparci. D’altro canto, possono utilizzare lo sguardo come strumento per agganciare la nostra attenzione quando siamo distratti, al pari di un miagolìo o una zampata. La loro innata emotività aggiunge ulteriore variabilità al modo (e al momento!) con cui decidono di aprirsi o di chiudersi alle interazioni sociali, anche con individui che conoscono bene.
E sono sicura che, continuando a rifletterci, altre differenze e particolarità possano emergere ancora.

Come spesso accade, la comparazione tra specie apre sempre nuove riflessioni e mi meraviglia ogni volta quanto le differenze che saltano agli occhi siano ben più interessanti delle analogìe. Un meraviglioso inno alla diversità biologica e alla ricchezza della Vita stessa.